Yehudà Ariè Leon Modena
Rabbì Yehudà Ariè Leon Modena o Leon da Modena, è considerato il più celebre rabbino veneziano del XVII secolo.
Nasce a Venezia il 23 aprile del 1571, figlio di Isacco Modena. Ebbe come mohel il famoso rabbino kabbalista Rabbì Menachèm ‘Azaryà Da Fano, in quegli anni acclamato per le sue lezioni presso la Scola Italiana.
Bambino prodigio, dopo aver studiato con illustri Maestri tra questi vengono annoverati Rabbì Azriel Basola, Rabbì Itzhàk Gallico, Rabbì Chizkiyahu Finzi e Rabbi Shemuèl Archivolti, divenne, fin da giovane, l’esponente di maggior prestigio del ghetto veneziano, il “reverendissimo” Maestro, rispettato anche dai maggiori ebraisti cristiani del tempo. Abilissimo predicatore, seppe far convivere, accanto a un’ampia produzione in ebraico, spiccati interessi per la cultura italiana, scrivendo opere di teatro, di poesia e di saggistica, apprezzate dall’intero mondo culturale.
Scrive nel suo libro (Chajjé Jehudà, 3): “Visto che sono nato e cresciuto a Venezia…e sono stato a Modena solo due o tre volte, mi firmo in italiano Leon Modena… e non da Modena”.
Così, accanto a opere quali Sur me-ra’, sul gioco; Sod jesharim, che raccoglie vari sortilegi; Tzemach tzaddiq, sulla morale; il volume di prediche Midbar Jehudà; il dizionario biblico Galut Jehudà; il trattato sulla memoria Lev ha-‘arjé; il commento all’ haggadah, intitolato Tzeli Esh; Shaagat ‘Arjé in difesa della Legge orale; il Maghen wetzinnah contro le tesi eretiche provenienti da Amsterdam, e molte altre, compose la tragedia Ester, una perduta pastorale, Rachele e Giacobbe, pubblicò I Trionfi dell’ Alatini e, soprattutto, scrisse la famosa Historia de riti Hebraici, la più completa esposizione delle usanze della vita ebraica del suo tempo. Il suo intento, infatti, fu sempre quello di difendere la propria “natione tanto oppressa” e di diffondere la conoscenza dell’ebraismo, come atto preventivo contro ogni possibile pregiudizio.
Accanto al rabbino celebre, tuttavia, all’intellettuale famoso, al predicatore acclamato, sta l’uomo, un uomo che ha tracciato, nella sua autobiografia, Chajjé Jehudà, un tormentato ritratto di sé, perennemente combattuto dall’insana passione per il gioco; che ha avvertito la triste sorte toccata ai propri figli come una punizione per le sue colpe; che ha confessato il suo profondo contrasto interiore, derivato dall’incapacità di aderire pienamente ai precetti della Torà, tante volte commentata e insegnata nel suo midrash e nelle varie scole del ghetto.
Leon Modena morì il 21 marzo 1648. Sulla sua lapide, al cimitero del Lido, si leggono le parole che egli stesso scrisse nel suo testamento: “Parole del morto. Hanno acquistato sopra Yehudà Ariè da Modena quattro braccia di terra in questo recinto…come possesso eterno”.
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