Shelomò bar Yehudà Ha-Bavlì o “romano”
Rabbì Shelomò bar Yehudà Ha-Bavlì o “romano”, visse in Italia nel X secolo.
Fecondo poeta, per quanto attingesse alla letteratura Haggadica o a sfondo morale, continuò la tradizione poetica del Kalir.
Il suo stile è a volte alquanto pesante e qualche volta addirittura incomprensibile, come si trattasse di qualcosa di profondamente recondito, racchiuso nelle sue parole. Il grande e celebre commentatore Rashì, riportò alcune delle composizioni liturgiche, fornite di esauriente commento.
Rabbì Shelomò Ha- Bavlì scrisse moltissime Poesie religiose, che hanno avuto il merito di essere inserite nel “Machazòr” Formulario di Preghiere di rito italiano ad uso dei “Benè Romì” (figli di Roma) e di rito askenazita o tedesco.
Tra le Poesie liturgiche sono rimaste celebri alcune “Selichòt”, scritte in quartine, nelle quali egli lamenta la disgrazia e l’angoscia della nazione ebraica in terra d’esilio; una “Avodà” per il Giorno dell’Espiazione, contenuta nel “Machazòr” di rito italiano, dal titolo “Adderet Malbushìm” ed uno “Yotzèr” per il primo giorno di Pesàch: “Or yeshà meusharìm”, riportato quest’ultimo anche dal Rashì e da Rabbenù Tam.
Il suo modo di versificare delle Selichòt servì di modello a Poeti, che vennero dopo di lui, tanto che questo tipo di “Selichòt” scritte in quartine, presero il nome di “Shalmoniyot”.
(bibliografia N. Pavoncello – Letteratura Ebraica in Italia 1963)
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