Nathàn ben Yechi’èl Min Ha- ‘Anawìm (Almansi, o Mansi, o Delli Mansi, o Piattelli)
Rabbì Nathàn ben Yechi’èl, è celebrato nella letteratura talmudica come autore dello “ ‘Arùkh”, libro a tutt’oggi unico nel suo genere. Era nato a Roma nel 1035, e lì morì nel 1106. Poco si sa della sua vita privata, e quel poco lo si ricava da una sua composizione poetica pubblicata in coda al suo libro, composizione – peraltro – di dubbia interpretazione. Era probabilmente membro della nota famiglia Min Ha- ‘Anawìm (Almansi, o Mansi, o Delli Mansi, o Piattelli); suo padre era un noto Maestro ed aveva composto vari piyutìm. Dopo la morte del padre gli succedette nell’incarico in Yeshivà insieme ai fratelli Dani’èl e Avrahàm, ed insieme a loro si trovò a comporre responsi rituali; uno di questi era in risposta ad un quesito rivolto già al padre da un certo Rabbì Shelomò Itzchakì, ma pare che non si tratti del notissimo Rashì, che pure era coevo, bensì di un ignoto omonimo italiano.
La sua vita fu costellata di sciagure: dei suoi cinque figli quattro morirono prima di lui; ciò non gli impedì di occuparsi per tutta la vita degli altri: costruì, insieme a suo fratello, un Mikwè ed un Bet Kenéset. Ma la sua opera principale fu quella cui dedicò tutta la sua vita, portandola a compimento nel 1101, pochi anni prima della sua morte: lo “ ‘Arùkh”.
Si presenta come un dizionario talmudico e midrashico; ma la di là della spiegazione delle parole e della loro traduzione in qualche lingua corrente, punta anche al ristabilire una lettura autentica dei testi, ripulendola da errori di espressione dovuti a fonti diverse. Per far questo si basa sull’autorità dei versetti biblici e delle notazioni dei Gheonìm, di Rabbénu Chananèl, di Rabbénu Nissìm ed altri. La conoscenza di queste fonti gli perveniva non solo dagli studi in famiglia, bensì anche da ricerche da lui effettuate nei suoi viaggi a Narbona, in Sicilia, a Bari e a Pavia. Vaste erano anche le sue conoscenze linguistiche: oltre all’ebraico l’aramaico, l’italiano ed il latino, aveva nozioni anche di persiano, slavone, greco ed arabo.
Il libro godette e gode di grande fama; pare che anche Rashì lo abbia utilizzato, ed è tuttora studiato.
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