Rabbini

25 Kislev 5785

Eliàhu Levi Bachùr Tedesco

Rabbì Eliàhu Levi Bachùr Tedesco, grammatico, linguista, correttore di bozze, era nato in Germania, a Neustadt, nel 1468, e per questo fu chiamato “Tedesco”; aveva studiato Torah nel Bet Ha-Midràsh e le altre dottrine presso suo padre, in Germania, dove imparò anche il greco ed il latino.

Giunse in Italia spinto dall’indigenza, ma anche qui non ebbe vita facile. Nel 1496 lo troviamo fra Padova e Venezia, dove seppe farsi notare per le sue conoscenze linguistiche e bibliche di cui faceva ampio uso anche nei suoi giochi di parole umoristici in yiddisch. Nel 1504 fissò la sua residenza a Padova. In quel periodo compose il suo libro “Nimmuqìm” (Argomentazioni), un commento al “Darkè Leshòn Ha-Qòdesh” (Le vie della lingua sacra) di Rav Davìd Qìmchi.; purtroppo, il testo fu pubblicato a Pesaro nel 1508 a sua insaputa e senza il suo nome, perché gli fu rubato da un copiatore di nome Binyamìn ben Yehudà.

Il 1509 fu per lui un anno particolarmente difficile: le armate del Patto di Cambrai (Massimiliano I e Ludovico XII) distrussero la città di Padova, comprese le case ebraiche, che furono depredate. Rabbì Eliàhu dovette lasciare la città senza un bene al mondo, e dopo vari vagabondaggi prese residenza a Venezia. Non avendo trovato di che mantenersi, nel 1516 si spostò a Roma, dove trovò una sistemazione ottimale. Poté infatti insegnare Torah e lingua, e con l’aiuto di alcuni suoi parenti fondò una stamperia. Fu inoltre in ottimi rapporti col cardinale Egidio da Viterbo, al quale insegnò l’ebraico e per il quale ricopiò antichi manoscritti ebraici; per un certo periodo abitò addirittura presso il cardinale, dal quale imparò latino e greco.

Nel 1518 fu fondata la stamperia, che pubblicò quasi solo le sue opere. La prima, “Séfer Ha-harkavà”, è una spiegazione grammaticale di tutte le parole di origine non ebraica e delle parole composte (Roma 1518); la seconda, “Lùach be-diqdùq ha-pe‘alìm weha-binyanìm” (Roma 1519) è una tabella grammaticale dei verbi e delle loro modalità:la terza (Roma 1519), “Séfer ha-Bachùr”, analizza grammaticalmente alcuni studi, ed è l’unica che nel titolo ricordi il modo in cui era chiamato (appunto, “Bachùr”, il giovane, o il prescelto). Per iniziativa del cardinale da Viterbo, compose anche una Concordanza (mai pubblicata), “Pirqè Eliyàhu” sulle lettere dell’alfabeto e sui te‘ammìm (Pesaro 1500), “Masòret ha-masòret” (Venezia 1538), “Tuv Tà‘am” (Venezia 1538).

Ma anche questo periodo di splendore e produzione venne a cessare nel 1527: le armate di Carlo V conquistarono Roma il primo giorno di Shavu‘òt e la città fu messa a sacco e a fuoco. Anche la sua casa fu distrutta e parte dei manoscritti fu bruciata o dispersa. Rabbì Eliàhu lasciò la città e si trasferì a Venezia, ove già era conosciuto e rispettato. Fra le persone che si aggregarono a lui per ascoltare i suoi insegnamenti c’era l’ambasciatore francese Georges De Selve. Fu tra gli Ebrei che si manifestarono correnti contrarie a lui, perché insegnava Torah a non Ebrei e trascorreva con loro la maggior parte del suo tempo. In ogni caso stava vivendo un periodo particolarmente favorevole; riuscì a completare libri che aveva lasciato incompiuti a Roma, ed a stamparli. Si occupò anche di correzione di bozze presso la stamperia di Daniel Bomberg, e successivamente presso altre stamperie. Tuttavia non era tranquillo, evidentemente non riusciva a star fermo a lungo in un solo posto.

Nel 1545 pubblicò le sue note al “Séfer Ha-Mikhlòl” di Rabbì Davìd Qimchi e negli anni 1546-48 le sue note al “Séfer Ha-Shorashìm”. Ottenne rispetto anche fra i più quotati linguisti, specie non ebrei. Si incontrò a Roma anche con Martin Lutero, che ebbe ad elogiarlo. Il re di Francia Francesco I lo invitò a Parigi per insegnare la lingua ebraica; tuttavia ricusò, perché all’epoca era vietato agli Ebrei risiedere in Francia e non voleva costituire l’eccezione. Si trasferì invece in Germania, dove pubblicò il “Tishbì” (1541), “Shemòt Ha-Devarìm” (1542) e “Diqdùq Eliàhu Lewì” (1542). Tuttavia, benché fosse vicino al suo luogo natale, si sentì straniero in patria e provò acuta nostalgia dell’Italia. Difatti nel 1542 tornò a Venezia, dove riprese la correzione di bozze.

Fino a tarda età continuò a scrivere ed a pubblicare: in yiddisch scrisse il “Bouvo Buch”, trasposizione in versi del romanzo “Historia di Bouvo d’Antona (o Ancona, o Altona) ” ed una versione in versi del Libro di Giobbe.

Morì il 6 Shevàt 1549, e fu sepolto a Venezia.

Fu il più grande grammatico di origine tedesca; Rabbì ‘Azaryà De Rossi lo definì il più grande grammatico della generazione. Non innovò nulla, ma si distinse per il metodo chiaro ed originale.

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